Dai farmaci in grado di rallentare il decorso della malattia e ritardare l’aggravamento dei sintomi, alla possibilità di una diagnosi precoce fino a nuove ipotesi sui fattori scatenanti. Sono tanti i progressi della medicina in fatto di Alzheimer. Continua a leggere per scoprire le ultime scoperte!
Che cos’è l’Alzheimer?
Secondo i dati dell’organizzazione mondiale della Sanità, sono oltre 55 milioni le persone che, nel mondo, convivono con l’Alzheimer, una delle principali cause di disabilità e non autosufficienza tra le persone anziane. Si tratta di un disturbo neurodegenerativo che porta alla progressiva perdita delle cellule nervose e delle loro connessioni. Come avviene per gli altri organi quando sono danneggiati, le lesioni dell’Alzheimer causano una perdita di funzione cerebrale sino alla demenza. Da un punto di vista fisiopatologico l’Alzheimer è causato dalla formazione e dalla presenza di ammassi di proteina beta-amiloide che danneggia i neuroni.
Alzheimer e Parkinson, l’ipotesi di un’origine comune
Alzheimer e Parkinson potrebbero nascere dallo stesso meccanismo neurodegenerativo, per poi differenziarsi solo in seguito: ad avanzare questa nuova ipotesi, che potrebbe cambiare radicalmente l’approccio alle due malattie, è uno studio pubblicato sulla rivista IBRO Neuroscience Reports da tre ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc). I tre studiosi – Daniele Caligiore, Flora Giocondo e Massimo Silvetti – hanno ricomposto come in un puzzle i risultati di diverse ricerche su Alzheimer e Parkinson condotte in vari ambiti, dalla genetica alla neurofisiologia. Sono arrivati così a ricondurre le due malattie allo stesso fenomeno neurodegenerativo che hanno chiamato NES (Neurodegenerative Elderly Syndrome, Sindrome neurodegenerativa dell’anziano) e che sarebbe caratterizzato da tre stadi progressivi.
Alzheimer più diffuso tra le donne
Tra uomini e donne, l’Alzheimer preferisce le donne. Basti pensare che in Italia su 600 mila persone con l’Alzheimer, due terzi appartengono al genere femminile, e che negli Stati Uniti su 5,8 milioni casi, le donne sono 6 pazienti su 10. Tra le cause che sarebbero all’origine di questa maggiore diffusione fra le donne vi è l’enzima USP11, maggiormente presente nel cervello del genere femminile, che favorirebbe un accumulo di proteine tossiche all’interno delle cellule nervose cerebrali. A indicarlo è uno studio dello scorso ottobre pubblicato sulla rivista scientifica Cell. I risultati potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti contro la patologia.
Il donanemab, un promettente farmaco contro l’Alzheimer
Secondo i dati di uno studio pubblicato sul Journal dell’American Medical Association, un nuovo farmaco sperimentale, il donanemab, sarebbe in grado di rallentare la progressione dell’Alzheimer, permettendo anche di ritardare l’aggravamento dei sintomi. Il farmaco è un anticorpo monoclonale che aiuta a rimuovere la beta-amiloide, la proteina alla base delle placche caratteristiche della malattia. La sperimentazione, denominata ‘Trailblazer-Alz 2’, ha coinvolto più di 1.700 pazienti con Alzheimer in fase iniziale. Dopo circa un anno e mezzo, nei malati trattati con donanemab la malattia è progredita più lentamente.
Passi avanti nella diagnosi precoce
Un nuovo studio del Karolinska Insitutet svedese, pubblicato sulla rivista scientifica Alzheimer’s & Dementia, ha dimostrato che la quantità di zuccheri presenti sulla superficie delle cellule del sangue (glicani) è associata ai livelli di tau, una proteina che contribuisce al funzionamento dei neuroni. Quando quest’ultima non funziona correttamente, come nelle demenze, forma dei grovigli che ostacolano la comunicazione tra cellule nervose, determinandone la morte. Di conseguenza, secondo gli scienziati, i livelli di glicani nel sangue possono essere utilizzati per arrivare a una diagnosi precoce di Alzheimer. Diversi studi clinici hanno infatti dimostrato che i migliori risultati per il contenimento dei sintomi si hanno quando si interviene alle prime avvisaglie della malattia.
I disturbi del sonno favoriscono l’Alzheimer
Secondo una ricerca del Centro di medicina del sonno dell’ospedale Molinette della Città della salute di Torino e dell’Università del capoluogo piemontese, c’è un legame tra la scarsa qualità del sonno e l’Alzheimer. Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Acta Neuropathologica Communications”. I ricercatori hanno esaminato l’effetto di un sonno disturbato in topi geneticamente predisposti al deposito di beta-amiloide, una proteina che compromette irreversibilmente le funzioni cognitive dell’animale anche se giovane. La sola frammentazione del sonno ottenuta inducendo brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, per un periodo di un mese (approssimativamente corrispondente a tre anni di vita dell’uomo), compromette il funzionamento del sistema glinfatico, facendo aumentare il deposito della proteina