Nei pazienti con tumore del colon, la biopsia liquida può migliorare i risultati della chirurgia e aiutare a personalizzare le cure. Lo indicano i primi dati dello studio Pegasus presentato a Madrid al congresso annuale dell’Esmo, l’European Society of Medical Oncology.

Prevenire le ricadute

Circa una persona su tre con carcinoma colon rettale operabile al III stadio dopo la chirurgia è a rischio di recidiva per la presenza di micro-metastasi che le tecniche radiologiche attuali non riescono a rilevare. “Per prevenire le recidive oggi quasi tutti i pazienti dopo l’intervento vengono sottoposti a chemioterapia adiuvante”, spiega Silvia Marsoni direttore dell’unità di Oncologia di precisione dell’Ifom – Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare ETS di Milano, ideatrice e coordinatrice di Pegasus. Ma “siccome la medicina non ha ancora a disposizione uno strumento adeguato a misurare la malattia micro-metastatica residua – aggiunge – non tutti i pazienti traggono beneficio dalla cura adiuvante. Soprattutto vengono trattati anche quelli che non ne avrebbero bisogno”.

L’applicazione della biopsia liquida nello studio Pegasus

La biopsia liquida può essere usata (oggi ancora in ambito sperimentale) proprio per monitorare nel tempo il Dna tumorale circolante (ctDNA) nel sangue, e verificare sia la sua presenza dopo chirurgia, sia la risposta della malattia a un trattamento. Promosso da Ifom e sostenuto da Fondazione Airc, tra luglio 2020 e luglio 2022, nel pieno della pandemia, Pegasus ha reclutato 135 pazienti in cura in 11 centri oncologici d’eccellenza italiani e spagnoli. La biopsia liquida post-chirurgica è risultata positiva (cioè c’era Dna tumorale nel sangue) in 35 pazienti su 135 (il 26%): 12 di loro (il 34%) hanno avuto una recidiva. La malattia si è ripresentata invece solo nel 10% dei pazienti con biopsia liquida negativa (cioè senza di Dna tumorale nel sangue). I dati sulla negativizzazione dei parametri di biopsia liquida nel corso e alla fine di tutti i trattamenti suggeriscono un’efficacia globale della terapia del 40% circa.

Chemioterapia differenziata

“Lo studio Pegasus prevede un trattamento di chemioterapia post-chirurgica differenziato sulla base dei risultati di una biopsia liquida fatta circa quattro settimane dopo l’asportazione chirurgica del tumore primario – spiega Sara Lonardi, dell’Istituto oncologico veneto Irccs di Padova (uno dei centri coinvolti nel progetto), responsabile clinico dello studio che ha presentato i risultati alla conferenza di Madrid: “Con una biopsia liquida positiva, i pazienti ricevono una chemioterapia adiuvante standard, la stessa usata a oggi per il trattamento di tutti i tumori del colon di stadio II ad alto rischio e in stadio III (a base di capecitabina e oxaliplatino, un trattamento molto attivo contro il cancro del colon, ma anche con una certa tossicità neurologica, acuta e cronica, ndr.)”. Se la biopsia liquida è negativa, invece, i pazienti ricevono una terapia più leggera, che prevede la somministrazione della sola capecitabina. La biopsia liquida viene effettuata più volte nel corso del trattamento durante il follow-up dei pazienti “per rilevare un’eventuale resistenza innata del tumore alla terapia e guidare la rimodulazione del regime chemioterapico”, aggiunge Lonardi.

Conferme e nuove prospettive

Lo studio, sostenuto da Fondazione AIRC, ha visto la partecipazione di 11 centri di eccellenza oncologica sotto la supervisione scientifica di Salvatore Siena del Dipartimento di Oncologia ed Emato-oncologia dell’Università degli Studi di Milano e Grande Ospedale Metropolitano Niguarda e di Josep Tabernero, direttore del Vall d’Hebron Institute of Oncology di Barcellona.«Se questi risultati saranno confermati da quelli dei diversi studi internazionali in corso che prevedono anche un confronto diretto con la terapia standard, potranno contribuire da un lato a modificare le linee guida per il trattamento del cancro del colon operabile, riducendo o eliminando del tutto la terapia adiuvante nei pazienti con biopsia liquida negativa, e dall’altro a personalizzare la chemioterapia in caso di mancata risposta molecolare – conclude Marsoni – . È un contributo importante per cambiare il paradigma con una nuova terapia personalizzata che permetterà, inoltre, di esplorare la biologia dei tumori micro-metastatici, quelli per i quali dobbiamo trovare nuove e più efficaci terapie».